Metabasis N. 36
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M. Protti, Studi sui tedeschi. La sociologia da Weber a Schutz

Mimesis, Milano, 2008, pp. 238

Francesco Giacomantonio

La sociologia del XX secolo costituisce certamente un ambito di riflessione assai denso di sfaccettature e manifestazioni, probabilmente più di quanto manuali e compendi della disciplina riescano solitamente a mostrare. Di alcune di tali manifestazioni si occupa Protti in questo studio, che, diviso in tre agili sezioni, raccoglie alcune ricerche che l’autore è venuto sviluppando su figure del calibro di Weber, Adorno, Habermas e Schutz. I saggi che costituiscono il volume, pur eterogenei, sembrano, tuttavia, armonizzati da una sorta di filo latente, che si dipana lungo le dimensioni della razionalità moderna e delle sue ricadute socio-politiche.

Punto di partenza della riflessione sociologica sul tema della razionalità è, a ragione, spesso ritenuta l’opera di Weber e, dunque, il volume si apre proprio con un confronto con questo studioso. Tuttavia, il problema della razionalità viene qui affrontato richiamando non i contributi weberiani più classici, bensì uno degli studi meno dibattuti in letteratura, ossia la ricerca empirica di Weber sull’industria, che merita, secondo Protti, una certa attenzione. L’autore desidera rendere conto di come questo contributo weberiano è stato recepito, rilevando come sia Schmidt il critico che meglio ne coglie il senso, senza cadere nel tentativo di estrarre da quelle pagine “determinati precedenti concettuali  che ivi si trovano al massimo accennati  o abbozzati genericamente”(p. 86). La ricerca di Weber sull’industria, diventa per Protti rilevante, perché mostra come il sociologo tedesco fosse in anticipo sui propri tempi, nella discussione teorica sulle questioni di metodo delle scienze sociali: in questo studio egli appare non come l’intellettuale cinico di un ceto imprenditoriale  progressista, né come ideologo velleitario della sinistra, bensì come un conservatore disincantato, gelido nel suo lavoro scientifico e allo stesso tempo partecipe di esso e del suo tempo. 
Nella seconda sezione, l’attenzione si sposta su Adorno, attraverso una disamina serrata e ricca di citazioni dai testi adorniani. A tal proposito, un capitolo è dedicato alla discussione, da una parte, del rapporto del filosofo e sociologo tedesco con il politico, inteso come ciò che riguarda la sfera teorica della riflessione sull’attività politica e, dall’altra, del suo rapporto con la politica, intesa come la dimensione empirica delle scelte attuate nel primo ambito. Il rapporto di Adorno con il politico e la politica si sostanzia, dunque, nella relazione tra teoria e prassi, che sono considerati da lui elementi discontinui: non sono né la stessa cosa, né assolutamente differenti. E’ in questo punto di vista che si determina  la rassegnazione di Adorno.

In questa sezione del volume Protti considera e circoscrive anche i settori della sociologia di cui Adorno si è occupato, tratteggiando con precisione cinque ambiti di riferimento:1) sociologia della musica, 2) sociologia dei processi culturali, 3)indagine empirica su personalità autoritaria, 4) questione del metodo nelle scienze sociali, 5) confronto con la sociologia classica e sua contemporanea. La partizione così operata permette di mettere a fuoco e ordinare molti punti interessanti rispetto a tali ambiti, ma, soprattutto, consente di cogliere come, nella sociologia di Adorno, nelle sue svariate forme, resta sempre cruciale il concetto di totalità, “come sfondo veritativo su cui deve misurarsi ogni analisi dei singoli fatti”(p. 132). In tutti gli ambiti della prospettiva di Adorno si tratta, quindi, di neutralizzare un tipo di ricerca che, premiando un atteggiamento sobrio nella raccolta dei fatti ed una loro elaborazione schematizzata secondo dettami formali, lascia fuori di sé ciò che non può trattare perché a tali schemi sfugge. Questo monito sociologico e epistemologico di Adorno, continua ancora oggi ad essere di attualità, se si considerano alcune evoluzioni delle scienze sociali e politiche, e riproporlo è certamente un esercizio intellettuale su cui è sempre interessante tornare a riflettere.

Il discorso su Adorno, dopo essersi soffermato su tali passaggi politici e sociologici, è completato da un capitolo in cui è fornito un parallelo con Foucault riguardo al tema dell’Illuminismo. Entrambi gli studiosi colgono nell’Illuminismo il ruolo cruciale da esso giocato nella storia universale. Ma, Adorno ritiene che proseguire nel solco dell’Illuminismo significa compromettersi fatalmente con la sua intenzione prima, che consiste nella logica del dominio, una volta mitico e ora finalmente razionale. Per Adorno, l’Illuminismo non può che  proseguire fino al suo immane degrado, alla finzione;  in tal senso Protti coglie lo iato rispetto a Foucault, per il quale, invece, si tratta di andare oltre, “in una sorta di inconsapevole dialettica”(p. 180). Uno iato filosofico che, forse, riflette le diverse personalità dei due studiosi: malinconico Adorno, più deciso Foucault, non caso definito, in un recente contributo di Veyne, come un “samurai”.

La questione dell’Illuminismo è ripresa anche in un breve capitolo dedicato a Habermas, in cui sono precisati alcuni momenti ideologici, che secondo Protti, caratterizzano alcune letture habermasiane dell’Illuminismo, quando egli discute alcune interpretazioni di Adorno e Horkheimer e Foucault; compare in Habermas una visione idealizzata dell’Illuminismo, “che sfiora appena i margini della ragione strumentale”(p. 189).

L’ultima sezione del testo discute, infine, le possibili connotazioni del pensiero di Schutz, rispetto ai temi di democrazia e agire politico, e propone, altresì, un confronto con James. E’ questa, certamente, la parte del volume che tratta questioni teoriche solitamente meno presenti nei dibattiti, rispetto a quelle legate a Weber, alla Scuola di Francoforte, a Foucault, ma non per questo meno interessanti. Protti mostra, attingendo anche alla lettura di Voegelin (che di Schutz fu interlocutore), che la sociologia di Schutz, di fronte alla teoria politica, “non vuole dire nulla”(pp. 214-15), preferendo in definitiva un sapere per il sapere, di ascendenza scheleriana. Schutz “non si è mai scostato da questo programma”(p. 215) e resta invischiato in una concezione arcaica della politica facendo slittare continuamente il problema della politica concreta all’immagine della politica; la politica viene ridotta “all’esteriorità estranea ai suoi contenuti”(p. 210). Indicativamente, Protti osserva, cogliendo sicuramente un punto cruciale nella vicenda storica delle scienze politiche e sociali contemporanee, che nel corso degli anni Cinquanta, quando escono le opere di autori come Lasswell e Easton, che determinano il passaggio dalla filosofia della politica alla scienza politica, Schutz perde l’occasione di prendere le distanze dalla teoria pura e dalla tradizione teorica di riflessione sulla politica, divaricata tra filosofia politica e dottrina politica.

Il parallelo con James, che occupa il capitolo finale, si sofferma sul concetto di “province di significato”, in cui Schutz, secondo Protti, cerca una adiacenza non invadente alla tradizione di ricerca filosofica e psicologica del fondatore del pragmatismo: James ottenne, infatti, nella teoria di Schutz un ruolo importante, ma non tanto come filosofo pragmatista, quanto come psicologo della coscienza. Nello specifico, con James i sub-universi di significati si presentavano come partizioni realmente esistenti, in Schutz sono strumenti di analisi, di classificazione della realtà a scopi cognitivi.

Cospicui, come si può osservare, sono i contenuti di riflessione offerti dal volume, sempre con riferimenti bibliografici puntuali. Forse, per alcuni capitoli, la lettura sarebbe stata agevolata da una scansione in paragrafi, ma questo è un opinabile dettaglio formale, che non scalfisce la fruibilità globale del volume, che riesce nell’intento di sollecitare lo sguardo del lettore nel considerare le prospettive di questi maestri del pensiero sociologico contemporaneo, sia chiarendone i concetti, sia confrontandoli con altri autori e critici, sia, soprattutto, mettendo in luce alcuni snodi teorici problematici, i cui intrecci hanno, in buona misura, contribuito a determinare la configurazione odierna della teoria sociale.

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