Metabasis N. 36
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Giuseppe Limone, Dal giusnaturalismo al giuspersonalismo. Alla frontiera geoculturale della persona come bene comune

Graf, Napoli, 2005

Paolo Bellini

Si può affermare, con una certa dose di ovvietà filosofica, che l’epoca moderna e quella post-moderna siano state  e siano decisamente segnate dalla ricerca, nei vari campi del sapere, di un atto fondativo. Tale gesto inaugurale, in quanto postulato, norma, valore, regola, è stato sempre pensato come luogo concettuale di edificazione, certa ancorché parziale, di una rappresentazione del mondo. Nel suo saggio Giuseppe Limone, ripercorrendo filosoficamente alcuni sentieri concettuali relativi alla fondazione del diritto e dell’azione politica, prova con la maestria della sua esperienza filosofica, a rideterminare il concetto di persona come centro focale di ripensamento del ‘politico’  e delle strutture giuridiche che lo sorreggono. In quest’opera si avverte con forza il desiderio di oltrepassare tanto la tradizione giusnaturalistica, quanto quella giuspositivista al fine di trovare una giusta collocazione politica e normativa alle sfide poste dalla globalizzazione e dalle nuove tecnologie.

Tanto il giusnaturalismo, quanto il giuspositivismo emergono così, seguendo il filo del discorso, segnati da una radicale insufficienza. Se infatti, per un verso, non ha più senso alcuno riferirsi a una supposta natura umana universale, per l’altro, il rifugiarsi nella coerenza astratta dei sistemi normativi, lascia al puro arbitrio di un potere senza autorità, l’arduo compito di fissarne i contenuti. Ora, nell’attuale cornice relativistica, a tratti paradossale, si rende sempre più necessaria l’esigenza di un modello, per quanto contingente e privo della forza dell’assoluto hegeliano, attraverso cui ricostituire l’orizzonte giuridico-politico del giusto e dell’ingiusto; aldilà di vuote affermazioni relative al bene comune e a un astratto individuo, detentore di diritti altrettanto astratti.

Con questo spirito critico Limone si propone di ricollocare quindi i ‘diritti fondamentali’, assicurandone l’universalità, nel concetto di persona come bene comune. Tale proposta di rifondazione filosofica del diritto e del ‘politico’ appare assai interessante nel suo tentativo di ridefinire la persona come unità e unicità  dell’uomo concreto. Tale unicità/unità della persona si rende, a sua volta, oggettiva e universalizzabile nella misura in cui coincide con l’atto di esistere di ogni singolo individuo, che sarebbe in ultimo il vero detentore, in quanto persona, di certi diritti universali.  Tuttavia, argomenta l’autore, poiché ogni forma di conoscenza razionale non è in grado di esaurire la ricchezza di ogni singola esistenza individuale, dato che l’essere è sempre distinto dal conoscere e l’atto di esistere è fondamentalmente irriducibile al suo concetto o a una teoria dell’essere, è necessario interpretare la persona in relazione al sacro. In altri termini, la sacralizzazione del concetto di persona dovrebbe permetterne un’ermeneutica universale e oggettiva, nella misura in cui instaura un legame inscindibile con l’orizzonte extrarazionale e indiscutibile della dignità di ogni singola esistenza umana. In tal senso la trattazione intende sottrarre la persona, come minimo comune denominatore di ogni singola esistenza, all’attrazione inevitabilmente esercitata dal ruolo sociale e dalla logica informazionale che, invece, tendono a inscriverla all’interno di una relazione funzionale, performativa e strumentale i cui esiti sono tristemente noti. Il testo, in definitiva, invita a una rilettura dell’articolazione dialettica tra ciò che deve essere posto in comune e ciò che appartiene a ciascuna individualità, in vista di una fondazione del diritto in grado di rispondere alle sfide relativistiche della post-modernità.

È questo l’arduo compito a cui Limone invita il lettore attento e il filosofo politico in particolare, cioè la necessità di pensare l’universale nelle diverse forme di manifestazione del sacro. Tale universale emerge a sua volta come dignità dell’esistere in quanto essenza ultima del sacro, che determina il vero relazionarsi alla numinosa profondità racchiusa nel mistero della vita. La chiusura del testo è, quindi, un dischiudersi simbolico che, riflettendo sul rapporto tra diritto e sacro, spinge il lettore a esplorare i fondamenti del diritto, dove le immagini si traducono in concetti. All’interno di questo percorso filosofico ci pare di scorgere, dunque, un interessante  tentativo di superamento di tutti quei modelli astratti, derivanti da un formalismo logico-deduttivo incapace di cogliere la ricchezza e la fluidità del divenire storico della civiltà post-moderna.

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