Metabasis N. 36
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V. Marzano, Mondo “Post”. Globalizzazione asimmetrica e crisi del sociale

Liguori, Bari, 2006, pp. 367

Francesco Giacomantonio

Dopo la modernità e dopo le ideologie; dopo il fordismo e dopo il tardo capitalismo; dopo lo strutturalismo e dopo la filosofia; dopo l’olocausto e dopo i blocchi, dopo l’11 settembre e dopo la galassia internet. A ben guardare, gli uomini del XXI secolo abitano una società che, prima ancora di delineare il suo presente e il suo futuro, tiene particolarmente a precisare gli elementi in conseguenza dei quali si è determinata.

Chi ama frequentare la letteratura filosofica e delle scienze sociali, in quell’elenco di “dopo” che abbiamo ricordato, intravede subito autori ormai classici: Lyotard, Bell, Habermas, Rorty, Foucault, per citare i primi che vengono in mente. E si accorge di quanto densamente articolato possa essere il dibattito su quei temi.
Proprio riflettendo su questa notevole confluenza di postmodernità, postfilosofia, postideologia, postfordismo, Marzano prova a rileggere la vicenda storica del XX secolo e delle sue implicazioni, attraverso le lenti delle scienze politiche. E’ questo, come del resto ammonisce il sottotitolo, un testo sulla globalizzazione, che cerca di discutere questo tema al di fuori delle retoriche che spesso l’accompagnano, volendo invece esplicitare non solo gli assetti che lo caratterizzano, ma anche le linee di pensiero che ad essi si accompagnano e che ne determinano la presenza.

L’analisi si dipana lungo cinque capitoli che, attraverso un percorso lineare ma, al tempo stesso, intessuto di rimandi e possibili letture trasversali, declinano il sostrato storico-sociale del mondo “post”.
Il primo capitolo affronta il passaggio epocale “dalla pax britannica al secolo americano”. L’autore sottolinea la crucialità del momento della sospensione della convertibilità in oro della sterlina inglese nel 1931, che portò alla fine dell’unica rete di transazioni commerciali e finanziarie mondiali, su cui si basava la posizione privilegiata della Gran Bretagna. A partire da quel momento, le vicende del piano Marshall e di Bretton Woods, sono interpretabili come naturali conseguenze di un ordine economico mondiale la cui gestione si trasferisce progressivamente dal Vecchio continente agli USA e che avvia processi di privatizzazione, liberalizzazione e deregolamentazione orientati a una silenziosa offensiva politica e sociale, inseguendo il fine di eliminare le istituzioni e i rapporti sociali, che dal dopoguerra avevano tutelato i cittadini tramite diritti e protezioni sociali.
Nel secondo capitolo l’attenzione si rivolge all’analisi delle relazioni internazionali: anche qui si coglie un passaggio simbolico estremamente significativo, quello “dalla Santa Alleanza alla Grande Alleanza”. Questo passaggio si afferma con l’evoluzione degli eventi della Prima e Seconda guerra mondiale, della prima e seconda fase della guerra fredda, sino al nuovo ordine internazionale sancito dalla Nato e agli interventi americani in medio Oriente. Tali condizioni avevano progressivamente indotto la dimensione della guerra di massa prima e della guerra totale poi. Anche dal punto di vista delle relazioni internazionali, Marzano interpreta la vicenda storica verificatasi, come improntata dal tentativo degli Usa di pervenire a una condizione egemonica; e tale tentativo si accentua proprio dopo la fine dell’ordine bipolare, attraverso una strategia che “si muove su diversi fronti”(p. 120): egemonia sugli alleati essenziali, un combinazione tra sostegno alla transizione al capitalismo e una posizione di sospetto verso Cina e Russia, repressione degli eventuali “Stati Canaglia”, negligenza benevola nei confronti degli “Stati falliti”, dilaniati da guerra e miseria.
E’ in questo contesto che vanno lette le questioni politiche, sia teoriche che pratiche, determinate dalle ipotesi sullo scontro di civiltà, sullo stato di eccezione, sulla guerra preventiva, sulla guerra giusta, sulle conseguenze dell’11 settembre.

Entriamo così nel cuore del testo, dedicato, con il terzo capitolo, proprio ad una specifica discussione sulla dimensione politica, o meglio postpolitica, dell’età contemporanea. La fine dello stato nazione, da più parti diagnosticata, è qui considerata sulla base della nuova articolazione tra pubblico e privato, “società e stato, economia e politica, ordine astratto delle norme e concretezza dei processi sociali”(p. 201). Questa articolazione si determina lungo la linea della modernità, attraverso gli scarti tra stato assoluto e stato di diritto, stato sociale e stato autoritario, crisi dello stato sociale e privatizzazione e deregolamentazione, sino a giungere alla attuale fase di fine della politica. Le condizioni di possibilità dello Stato e della Politica che avevano costituito lo sfondo silenzioso dell’intero processo sociale, diventano disturbi funzionali, ostacoli al processo economico e la crisi dello stato nazione mette in luce l’impotenza e i limiti di un apparato regolativo, eroso dall’esterno e al suo interno nelle principali funzioni.

Accanto a questa crisi politica l’autore è attento a valutare, nel quarto capitolo, la parallela crisi della società del lavoro. Attingendo agli studi di sociologia economica e del lavoro, questo capitolo mostra l’impatto delle nuove tecnologie sul mercato del lavoro, che hanno imposto i modelli di produzione leggera, del just in time e della delocalizzazione produttiva. E’da tali modelli che discende, dunque, la nuova società dell’ “informazionalismo”, che costituisce l’approfondimento tecnologico dell’economia industriale. La cultura di questa società è quella della “distruzione creatrice”.

L’insieme delle trasformazioni economiche, sociali, istituzionali, che abbiamo accennato, non possono non influenzare una nuova dimensione antropologica; e di questa dimensione si occupa l’ultimo capitolo del libro, incentrato sulla percezione dell’identità, dello spazio e del tempo nella società globale. A tale proposito è importante la trattazione del processo di affermazione dell’ideologia dell’individualismo radicale e dell’uomo flessibile, attraverso i momenti dell’individualismo proprietario e possessivo e della dicotomia sempre più marcata che la modernità ha imposto tra comunità e società e tra individuo e società. Il risultato di questa nuova dimensione antropologica è che “le prospettive di emancipazione, offerte dalla nuova società scandita dal ritmo del consumo e dalle possibili conquiste sul piano della mobilità sociale, si rivelano presto nient’altro che funzionali ad una pianificazione più generale di grandi istituzioni gerarchiche che manipolano persone e simboli, riducendo i soggetti ad anelli interscambiabili delle grosse catene di autorità che tengono insieme la società” (pp. 332-333).

Frutto dell’attività di ricerca del dottorato in Filosofie e teorie sociali contemporanee dell’Università di Bari, il volume riflette l’esigenza di una sociologia di ampio respiro che non trascura le implicazioni filosofiche dei problemi socio-politici. In conclusione, il testo di Marzano sembra orientato a fornire un quadro generale della società contemporanea, illustrando, con riferimenti (classici e aggiornati) sia storici che teorici, i nessi tra dimensioni politiche, sociali, economiche, istituzionali, tecnologiche, psicologiche, etiche, che spesso possono sfuggire nella complessità della nostra epoca. L’autore non fornisce esplicitamente soluzioni alla condizione asimmetrica che tutta questa situazione ha prodotto. Ma, certamente, questo studio può aver il pregio, se non di illuminare lo sguardo di chi già vede, almeno di aprire gli occhi di chi è cieco. E, nell’oscurità di certi tempi, una buona visione è molto più di un optional.

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