Metabasis N. 36
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Julien Freund, L’Essence du politique

Editions Dalloz, Paris, 2004, 3° édition, postface de Pierre-André Taguieff, XII-870 pp. ISBN: 2 247 037631

Carlo Gambescia

La ristampa della terza e ultima edizione de L’Essence du politique di Julien Freund è indubbiamente un evento importante, in particolare per tutti coloro che pur volendosi avvicinare al suo pensiero non riuscivano da anni a reperirne l’opera più importante proprio nel primo luogo dove si recano i comuni lettori, quando sono in cerca di un testo: la libreria. Ma lo è anche per gli studiosi, dal momento che la presente pubblicazione si avvale di una postfazione di Pierre-André Taguieff, filosofo e storico delle idee, direttore di ricerca al Cnrs e docente all’Istituto di Studi politici di Parigi, sulla quale però torneremo più avanti.

Come è noto L’Essence du politique ha avuto tre edizioni: la prima nel 1965, la seconda nel 1978 e la terza nel 1986. La presente ristampa riprende il testo della terza edizione, che a sua volta, recepiva integralmente quello del 1965. Ovviamente vi è ripresa anche l’appendice del 1986, datata novembre 1985, dove Freund con la sua consueta asciuttezza, e sulla scia di Max Weber, rivendica tra le righe non tanto e non solo la bontà del suo approccio, quanto diritto del ricercatore a forgiarsi le proprie metodologie, nonché il dovere di non allontanarsi mai dai dati dell’esperienza.

Quel che più stupisce, anche chi come noi non apre per la prima volta L’Essence du politique, è la sua architettura complessiva, interna ed esterna, che ricorda, se ci si passa la figura metaforica, quella di una imponente piramide egizia. Una figurazione che può essere estesa anche al tema stesso del libro: il “politico”, come “essenza” (essence), secondo la definizione di Freund, quale attività connaturata all’uomo, che è lì da sempre, come una piramide plurimillenaria, tra le altre piramidi, o essenze enucleate e immaginate dallo studioso francese (l’economico, il religioso, lo scientifico, l’estetico, l’ etico). Ma purtroppo, così ha voluto il destino, non costruite compiutamente, altrimenti oggi ci troveremmo davanti a un vero e proprio “complesso monumentale“ filosofico, per restare in metafora, della stessa grandezza delle piramidi di Giza,

Torniamo però all’architettura del libro: dal lato esterno il succedersi delle serrate argomentazioni, e quindi della materia espositiva, fa pensare, come abbiamo notato, alla logica scalare o ascensionale di una piramide. La base forte, ampia e resistente: il dato (donnée), rappresentato dalla società, come condizione vitale dell’uomo, da cui il politico, nelle sue varie forme, non può prescindere. La sezione intermedia, in cui la piramide inizia a restringersi, pur sviluppandosi in altezza: i presupposti (présupposés) del politico, costituiti dalle condizioni di esercizio del politico. Il vertice, della piramide o il culmine dell’ascensione: le finalità (finalités) e i mezzi (moyens), che costituiscono il punto di arrivo del politico: il momento in cui la sua essenza si manifesta compiutamente, e si comprende infine perché il suo scopo sia quello di riuscire a garantire sicurezza interna e concordia esterna.

A fronte di questa maestosa e compatta architettura esterna, L’Essence du politique, come ogni piramide, ha al suo interno cunicoli, labirinti, sotterranei, celle nascoste, pozzi segreti: di qui i complessi collegamenti dialettici tra i presupposti, non sempre di facile comprensione per chi studia il pensiero di Freund: la dialettica tra commando e obbedienza (commandement e obèissance), che determina l’ordine (l’ordre); la dialettica tra privato e pubblico (privé e public) che determina l’opinione (l’opinion); la dialettica tra amico e nemico (ami e ennemi) che determina la lotta (lutte).

Ma la sfida di Freund è duplice, perché riguarda gli studiosi e anche gli uomini tutti: proprio attraverso questi cunicoli labirintici studiosi e uomini comuni potrebbero giungere, se solo volessero e capissero, al misterioso vertice della piramide, che guarda verso l’infinito. Non sempre, tuttavia, come le vicende umane mostrano, soprattutto gli uomini ci sono riusciti: spesso si sono perduti o caduti. Ma una forza misteriosa li ha spinti ogni volta, come Sisifo, a rialzarsi e ricominciare tutto da capo. Dal momento, come scrive Freund, che “la politique obéit elle aussi à la poussée de la vie, à l’accroissement de la puissance pour assurer sa conservation, malgré l’atrocité des guerres et sans doute par elles. Dès qu’une unité politique cesse de lutter, elle cesse d’exister. Cette impulsion de la vie, rien ne peut l’exorciser, ni une comptabilité de tous les morts de toutes les guerres, ni les tableaux d’horreur des révolutions” (p. 754).

Si tratta di un’opera maestosa e complicata che sfida alla pari i classici del pensiero politico di ogni tempo. Un grande libro che tuttavia affascina e atterrisce al tempo stesso. Perché Freund, come ogni grande pensatore, riesce a mostrarci il volto autentico del politico. Non il lato demoniaco, come talvolta viene moralisticamente rappresentato, ma il suo lato, come dire, sostanzialista frutto di forze profonde e insopprimibili, insite nella vita sociale stessa: ora l’uomo può cambiare vita ma non cambiare la vita. Questa è la sua condanna. L’uomo conducendo, sul piano privato, una vita pia può sottrarsi al male (o al demoniaco), ma non può sconfiggere, sul piano pubblico, la vita stessa: l’ impulso vitale (impulsion de la vie), perché esso si situa al di là del bene e del male (e quindi del demoniaco). Pertanto Freund, per un verso scompone e studia scientificamente il politico, e quindi ci aiuta a capire ed eventualmente a “canalizzare” socialmente le forze vitali e profonde, ma per l’altro verso, ne riconosce e teme (da attento lettore di Nietzsche e Simmel) le periodiche esplosioni, che minacciano sempre quel fragile equilibrio sociale e politico, faticosamente costruito e ricostruito, dopo ogni tempesta storica, dagli uomini.

E’ perciò del tutto ovvio che una posizione esistenziale e teorica, così realistica e forte, come quella di Freund, non abbia raccolto consensi tra illuministi liberali, marxisti e cattolici progressisti, tutti convinti, a differenza di Freund, di poter studiare la politica, una sfera posta è al di là del bene e del male, sulla base di categorie fortemente imbevute di pregiudizi morali ed ideologici.

Quanto alla postfazione del professor Taguieff, che stando all’ Avvertissement (p. V), doveva invece essere pubblicata come prefazione, va subito detto che l’editore ha ben fatto, come si legge, “en accord avec l’auter, de [la] fair figurer en postface” (Ibid.): dal momento che dal punto di vista introduttivo, non avrebbe nulla tolto o aggiunto a quanto è stato finora pubblicato sull’ Essence du politique. Indubbiamente, lo scritto, Julien Freund, penseur du politique (pp. 829-867), che va letto come interessante raccolta di libere riflessioni, è molto ricco sotto l’aspetto bibliografico, come del resto ogni altra pubblicazione del professor Taguieff. Tuttavia, a causa del taglio scelto, la griglia interpretativa impiegata è al tempo stesso troppo larga e troppo stretta. Dal momento che Freund, viene definito un “libéral conservateur insatisfait” (p. 861), e quindi “incasellato” piuttosto strettamente (griglia stretta), poi però nella ricostruzione delle influenze sociologiche, culturali e politiche subite da Freund, il professor Taguieff cita non sempre ordinatamente una grande quantità di autori (griglia troppo larga), una libido da citazioni, che nell’intreccio coi copiosi riferimenti bibliografici in nota, finisce per essere di impedimento alla comprensione cronologica e lineare del gioco di genealogie e apporti, oggettivamente già vasto, che ha condizionato il pensiero di Freund.

Quanto al Freund “libéral conservateur insatisfait”, secondo la definzione adottatata da Taguieff come “ la moins mauvaise manière de situer Freund ”, va detto che essa si esaurisce nel porre Freund “dans la lignée identifiable par les noms” di Hegel, Weber (degli ultimi anni), Schmitt e Hayek (p. 861 e nota 2): ora, sul liberalismo conservatore di Hegel e Schmitt solleviamo qualche dubbio, su quello di Weber lasciamo ai lettori libertà di giudizio. Per quello che riguarda Hayek, il professor Taguieff avanza anche l’ipotesi che la “critique freundienne de l’utopisme artificialiste est fort proche de la critique hayekienne du ’constructivisme rationaliste‘ ” (p. 852, nota 4).

Il punto merita di essere approfondito. In primo luogo, la critica del “perfettismo” o “costruttivismo razionalista” risale ai pensatori controrivoluzionari, e quindi in tale senso la critica di Freund può ad esempio essere accostata anche a quella di de Maistre, Burke, Rosmini, e altri ancora. Insomma, la critica del “perfettismo” è un luogo comune, qualcosa, come dire, che è nell’aria, da almeno un paio di secoli, e da cui hanno attinto un po’ tutti, e che perciò in sede di ricostruzioni biografiche o critiche molto dettagliate è assolutamente inutile. In secondo luogo, se il professor Taguieff, ha invece tentato col suo accostamento, di poter comprovare la tesi di un presunto liberalismo hayekiano di Freund è completamente fuori strada: “insatisfait“ non può assolutamente significare ultraliberale, solo perché effettivamente lo è Hayek, la cui insoddisfazione è proprio nei riguardi della politica, quando questa vuole dettare regole e chiede obbedienza a mercati e individui. Mentre, come è noto, tra Freund e Hayek, sul versante dell’analisi filosofico-sociologica, è proprio la forte visione freundiana del politico a fare la differenza. In Freund, stante la sua concezione sostanzialista e comunque non “spontaneista” o nominalista del sociale e del politico, l’ordine è il frutto consapevole di una dialettica, tra comando e obbedienza, riguardante singoli e gruppi, dialettica che cerca di canalizzare le forze vitali e profonde, che preesistono agli individui, anche se ne hanno bisogno per manifestarsi. Mentre in Hayek l’ordine è il risultato inconsapevole, o spontaneo, di una interazione tra individui, preesistenti alle forze di cui sopra, e mossi dal perseguimento esclusivo dei propri interessi. In Freund l’ordine è comunque espressione di una volontà politica collettiva, che si impone al flusso degli eventi. In Hayek invece l’ordine è espressione di involontarie scelte individuali che senza saperlo assecondano il flusso degli eventi. Per Freund il mondo così com’è, è il migliore dei mondi impossibili, per Hayek invece, è il migliore dei mondi possibili. Freund, pur criticandolo si confronta col perfettismo e con la tragicità della condizione umana, sospesa dialetticamente tra ordine e disordine, tra libertà e costrizione. Hayek invece critica ogni tipo di costruttivismo, assimilandolo negativamente al politico tout court. Tra i due pensatori il vero conservatore è Hayek, perché, a differenza di Freund, crede che “la grande società”, liberale e capitalista, non sia una delle tante forme storiche succedutesi e condannate a succedersi nel tempo, ma una di specie patrimonio dell’umanità da conservare, arricchire e difendere, perché sarebbe la società più libera fra tutte quelle che l’hanno preceduta. Freund propone una mediazione, per continui e successivi aggiustamenti tra l’essenza politica ed economica. Hayek rifiuta qualsiasi mediazione, ed è disposto a ridurre la politica all’ economia, sopprimendo così una delle sfere, o essenze in cui si esprime la creatività dell’uomo. In sostanza, sotto l’aspetto filosofico ed epistemologico, Freund è per il Divenire, Hayek per l’Essere. Freund apre la porta alla tragica libertà della politica, dialettica e perciò ricca di significati e passioni, Hayek invece alla gelida libertà dell’economia, sempre eguale a se stessa, e quindi povera di significati, ma ricca di interessi. Due strade completamente diverse, se non opposte.

Pertanto, il liberalismo freundiano, se di liberalismo si tratta, è un liberalismo non individualistico e soprattutto tragico, dialettico e quindi non conservatore. Tuttavia esiste, o è mai esistito, un liberalismo capace di prescindere dall’individuo? O un liberalismo non ridens che si sia rifiutato, solo per una volta, di considerare la “civiltà” liberale come il migliore dei mondi possibili? Ma questa forse è un’altra storia.

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