Metabasis N. 36
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Frammenti 4

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Frank R. Pfetsch (a cura di), Konflikt, “Heidelberger Jahrbücher” 48 (2004)

Springer, Berlin-Heidelberg, 2005, pp. 368

Tiziana Gislimberti

Il 48° volume degli Heidelberger Jahrbücher è interamente dedicato alla tematica del conflitto, trattata ad ampio spettro.
I contributi (diciannove di autori diversi) forniscono al lettore una prospettiva interdisciplinare e storica, ma nel contempo anche precisi riferimenti alle situazioni conflittuali del presente (vicino e medio Oriente, Africa).

Si considera il conflitto nelle sue manifestazioni e nella sua genesi, affrontandolo ad ampio raggio: dalle forme di conflitto collettive in politica, diritto e economia, ai conflitti individuali del mondo umano e animale, sino alla tematizzazione del conflitto in letteratura, pittura e scultura. Trovano spazio sia i conflitti globali che quelli regionali, viene discusso il rapporto tra politica e morale. Anche la psiche umana, la psicoterapia clinica e la valenza del conflitto in ambito imprenditoriale non vengono trascurate.
I singoli contributi sono preceduti da una prefazione del curatore Frank R. Pfetsch, dal titolo 'Konflikt u. Konfliktbewältigung' (1) che delinea in punti essenziali la centralità del tema nella civiltà occidentale,e che è di particolare interesse perchè affronta la controversa problematica della definizione del conflitto. Problematica che va al di là della sfera dell'esistenza umana, interessa anche la vita animale e per questo si presta a un discorso transdisciplinare.

Motore della situazione conflittuale è sempre - già nella vita comunitaria degli ominidi - un contrasto di interessi, di singoli o di gruppi, relativamente a un bene che diviene oggetto del contendere. Dove sono in ballo interessi ci sono contrasti, invertendo la sequenza hegeliana, secondo cui "Interesse ist nur vorhanden, wo Gegensatz ist" (2).
E i beni non sono necessariamente solo di natura materiale, anche visioni contrapposte possono causare interessi diversi: anche diverse Weltanschauungen, diverse convinzioni ideologiche, i fondamentalismi portano a contrasti di entità più o meno rilevante. D'altro canto differenze e opposizioni di per sé possono esistere e rimanere latenti senza necessariamente divenire conflittuali: "Gegensätze müssen, um konfliktbestimmend zu sein, in Aktion umgesetzt werden. Uterschiedliche Ansichten, Bewertungen oder Interessen können latent vorhanden sein, ohne manifest zu werden. Erst wenn sie in politische Regie genommen werden, entstehen aus Gegensätzen Konflikte. [...] Gegensätze können bestehen bleiben, ohne politisch relevant zu werden. Erst ihre politisce Inanspruchnahme, die Organisation und Mobilisierung durch Eliten, führt zum Konflikt" (3).

Se nelle diverse sfere dell'umano agire si possono riscontrare forme diverse di concorrenza, tese alla disputa di un bene (dalla concorrenza economica, al gioco, al contrasto politico, fino ad arrivare al conflitto armato e alla distruzione violenta), il conflitto politico vero e proprio può essere definito come una situazione di tensione "der dadurch gekennzeichnet ist, dass mindestens zwei Parteien unvereinbare Gegensätze in Bezug auf ein und dasselbe Gut haben und dieses im ähnlichen Maße begehren" (4).
Per quanto riguarda l'oggetto del contendere, questi è -nel caso del conflitto politico- un bene pubblico, ovvero interessi e valori nazionali, come ad es. il territorio dello stato nazionale e suoi confini (indipendenza nazionale), diritti costituzionali (il diritto all'autodeterminazione) oppure il diritto di disporre del monopolio decisionale (potere politico).

Se da un lato il conflitto è un fenomeno ubiquitario e sempre presente nella dimensione della convivenza umana, prioritaria diviene per gli studi che si occupano di conflitto la domanda relativa alla regolamentazione possibilmente pacifica delle situazioni conflittuali, in modo da impedire contrapposizioni violente: quindi non tanto l'eliminazione, ma la gestione del conflitto diviene un tema di scottante attualità.

Nella letteratura politica tedesca del dopoguerra c'è stata via via una focalizzazione diversa degli interessi. Mentre nell'immediato dopoguerra era preponderante la domanda relativa alle cause del conflitto bellico, in un secondo momento divenne prioritario puntare sulla distensione dei due blocchi contrapposti, evitando l'impiego della forza e sviluppando la dimensione diplomatica in tutte le sue potenzialità. L'oggetto d'interesse si è poi spostato nel corso degli anni ottanta e novanta sulla gestione e managment del conflitto in senso più lato, sottolineando in modo sempre più deciso l'importanza di trovare soluzioni e mediazioni che escludano l'impiego della violenza.
Questa prospettiva è stata a lungo quella determinante e ha alimentato la convinzione che la maggior parte dei conflitti siano risolvibili con mezzi pacifici, almeno fino alla guerra nei Balcani e nel Caucaso.

Pfertsch si pone anche il problema di definire i vari momenti di sviluppo del conflitto. Il ciclo ideale si distingue in quattro fasi: inizio latente, manifestazione, crisi e crisi acuta, fino alla guerra vera e propria. I mezzi impiegati dalle parti in causa determinano l'acutizzarsi o meno della crisi. In particolare i conflitti subnazionali e etnico culturali dipendono -da un lato- dalla mobilitazione che le elite politiche riescono ad attivare nei diversi raggruppamenti, e d'altro lato dalla reazione delle istanze statali di fronte a tale mobilitazione.
Passando a considerare brevemente la storia europea, il curatore mette in evidenza come l'affermazione dell'identità 'europea' abbia sempre significato anche delimitazione verso l'esterno, verso l'altro, il diverso. E' questo, comunque, un principio basilare nella formazione di ogni gruppo sociale, in cui la differenza con l'alterità, permette sempre di cementare la propria identità e la propria coesione interna. Ma forse per quanto riguarda l'identità europea si potrebbe mettere in evidenza -ponendosi in prospettiva storica- quella che fu l'eredità di una visione imperiale e universalistica dell'intendere l'Europa, che arriva fino al 1918, alla caduta cioè dell'impero austro- ungarico, erede di questa visione in cui l'universalismo annullava le differenze, o viveva delle differenze, che davano a loro volta un contributo alla specifica realtà europea.

Pfetsch evidenzia soprattutto l'aspetto della coesione interna, ottenuta attraverso l'identificazione di un comune nemico da combattere (contrapposizione della cristianità all'islam, crociate come prima forma di collaborazione europea). Nel corso del XV sec., poi,si formarono due diverse tendenze nella definizione dell'identità europea: l'una si caratterizza delimitando -soprattutto dopo la caduta di Costantinopoli nel 1453- il proprio confine ad Oriente in contrapposizione all'Islam e l'altra attraverso un'apertura ad Occidente, in particolare dopo il 1492 con lo sviluppo delle potenze coloniali. Delimitazione verso Oriente e apertura verso Occidente divennero una costante nella storia europea: affinità e ostilità erano e sono una realtà europea, anche se le alleanze interne e la delimitazione verso l'esterno variano di epoca in epoca.

Alla fine di questa rapida panoramica l'autore si chiede se la specifica eredità europea non debba essere ravvisata nell' 'aspetto dialogico', nel dialogo tra pluralità, nell'opposizione tra vecchio e nuovo, tra religione e ragione, rivoluzione e conservazione, tra dimensione individuale e collettiva e così conclude: "Dialogik sei, so Morin, das Herz europäischer kultureller Identität, und diese Identität lebt aus der Spannung zwischen Gegensätzen, die Wandel und Fortschritt hervorbringen. Es blieb allerdings nicht immer nur bei der 'Dialogik'.Ist der Kampf der Gegensätze der Preis für 'Fortschritt'?" (5).

Si può sicuramente sostenere che questa pubblicazione mette bene in luce quanto vasta e sfaccettata possa essere la problematica del conflitto, e come percorra trasversalmente tutti gli ambiti dell'agire umano, interessando campi molto diversi. Rilevante è il tentativo di riunire entro un denominatore comune così vasto, come quello del conflitto, prospettive di analisi e approcci anche molto diversi tra loro, suscitando -a volte forse perplessità- ma sicuramente anche molte domande di grande attualità, che probabilmente non possono che rimanere aperte.


  1. Conflitto e superamento del conflitto.
  2. "L'interesse è presente solo, laddove v'è contrasto".
  3. "Per divenire conflittuali i contrasti devono tradursi in azione.Punti di vista, valutazioni o interessi discordi possono rimanere latenti, senza manifestarsi. Solo quando interviene una regia politica i contrasti si trasformano in conflitti. [...]I contrasti possono sussistere senza essere politicamente rilevanti. Solo il ricorso alla politica, l'organizzazione e la mobilitazione attraverso le elite, portano al conflitto".
  4. "Caratterizzata dal fatto che almeno due partiti abbiano interessi contrastanti e inconciliabili relativamente a un oggetto a cui aspirano con la stessa intensità".
  5. "La 'dimensione dialogica' sarebbe, secondo Morin il cuore dell'identità culturale europea, e questa identità vive della tensione tra opposti, che producono cambiamenti e progresso. Ma non si è in verità rimasti sempre entro questa 'dimensione dialogica'. Si può forse considerare la lotta tra opposti il prezzo per il 'progresso'?.

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